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Il riflettore di bordo disperdeva la foschia, e Vadim, chino sul binocolo, distingueva il profilo di edifici, di mura menate e di cupole.

— Una città, — disse. — Che cosa facciamo?

— Una città? — fece eco Saul. — Curioso. E quanto dista?

— Circa quindici chilometri.

— Così, dunque, dalla città alla navicella ci sono trenta chilometri… Una persona allenata li potrebbe fare perfino a piedi nudi.

Vadim sussultò.

— Non ci tengo a provarlo, — borbottò.

Il bioplano, scrollato dalle raffiche di vento, stava ora a una ventina di metri da terra. Come è tutto assurdo, pensava Vadim. Dove sono le spedizioni di ricerca? Dove sono i bioplani e gli elicotteri con i volontari? La gente muore assiderata vicino alla città, e qui per un raggio di decine di chilometri non c’è anima viva, eccetto quegli uccellacci. E quegli uccelli qui non ci dovrebbero proprio essere. Avrebbero dovuto sterminarli da cento a

Anton era incerto. Sedeva dritto, con gli occhi socchiusi e le labbra serrate. Aveva questa faccia quando risolveva fra sé e sé qualche problema di navigazione spaziale.

— Ebbene, capitano? — disse Vadim.

La faccia di Anton riacquistò l’espressione solita.

— Secondo le regole, — cominciò, — ora dovremmo tornar subito all’astronave. Ma… Va’ avanti. Rimani alla periferia. Tieniti più in alto.

Il bioplano in tre balzi fece la distanza che lo separava dalla città, e già alla fine del secondo Vadim capì che non si trattava di una città. In ogni caso, capì subito perché nessuno si preoccupava della sorte dei ragazzi scomparsi.

— Qui si è verificata un’esplosione tremenda, — borbottò Saul da dietro.

Il bioplano si fermò sopra il bordo di una buca gigantesca, che somigliava ai cratere di un vulcano attivo. La buca, ampia mezzo chilometro, era piena fino all’orlo di un pesante fumo che si muoveva. Il fumo era grigiastro, si stratificava pigramente e oscillava e doveva essere molto più pesante dell’aria, perché nemmeno una voluta si i

Vadim guardava sbalordito. Saul biascicò:

— Beh, queste cose le conosciamo… Un bombardamento… I depositi sono saltati… e da poco tempo; il fumo non si è ancora disperso, là c’è qualcosa che brucia.

Vadim scosse il capo.

— In questa città non c’è vita. Gli abitanti sono scappati via. Strano che ne abbiamo trovato solo cinque.

— Gli altri sono lì, — disse Saul, guardando la buca.

— Questa non è una civiltà, è uno scandalo, — gridò Vadim.

— Ma che razza di imbecilli! Chi è che si mette a fare esperimenti con gli esplosivi in una città? Bisogna proprio essere l’ultimo…

Anton disse piano:

— Arrivano delle macchine…

Da nord giungeva fino alla buca il nastro di una strada, così sottile che si notava appena. Su di essa strisciavano fitti e senza fretta dei puntini neri. Aha, pensò Vadim, dunque non è ancora tutto perduto. Girò il bioplano e sorvolò la buca; videro una magnifica autostrada che finiva proprio dentro il fumo, e sull’autostrada una colo

— Sono senza pilota, — disse Vadim.

— Sì, — disse Anton.

— Dunque, c’è qualcuno che le manda. Probabilmente per i lavori di ricostruzione. E troveremo della gente all’altro capo della strada… — Vadim si interruppe. — Senta un po’, Saul, — disse, — c’erano macchine del genere al tempo dei sacchi di juta?



Saul non rispose. Guardava in basso come incantato e in faccia gli si leggevano ammirazione ed entusiasmo. Alzò su Vadim gli occhi stralunati. Le sopracciglia cespugliose erano irte.

— Che tecnica! — disse. — Che processione epica! Che proporzioni grandiose! Non se ne vede la fine!

Vadim si stupì e guardò pure lui in basso.

— Ma che cosa c’è di straordinario? — chiese. — Ah! Le proporzioni! Sì, le proporzioni sono assurde. Per ricostruire la città basterebbe una dozzina di robot.

Guardò di nuovo Saul. Saul sbatté in fretta le palpebre.

— A me invece piace, — disse. — È molto bello. Possibile che non veda com’è bello?

— Vadim, — disse Anton, — segui la strada. Visto che abbiamo iniziato, cerchiamo di capirci qualcosa.

Vadim accelerò. In basso il torrente delle macchine si fuse in un nastro multicolore.

— Ecco, ora è bello, — disse Vadim. — Ma lei, Saul, non mi ha risposto. Sono compatibili i sacchi di juta con questa tecnica?

— E perché no? Dalle città distrutte la gente è scappata così com’era. Quanto la preoccupano quei sacchi di juta! I sacchi di juta sono esistiti per alcuni secoli. Sono una cosa comoda e di poco prezzo. Potevano servire per portare i ceppi, ad esempio.

— Quali ceppi?

— I ceppi di legno. Per riscaldare il bagno.

Vadim ricordò la storia del foglio bagnato e rimase zitto, guardando avanti. Non si vedeva la fine né della autostrada né della colo

— Anton, — chiamò. — Te lo immagini un Leonidiano al posto nostro?

Anton rispose:

— Un Leonidiano scemo direbbe che è tutto chiaro. E uno intelligente che i dati sono insufficienti.

Sì, i dati erano insufficienti. Tutte le macchine va

— Sapete, — disse all’improvviso Saul, — ho addirittura un po’ di paura. Quanti chilometri abbiamo già fatto? Quaranta? E ci sono ancora macchine che va

— Avrebbero fatto meglio ad utilizzare questa tecnologia per cercare i dispersi, — osservò Vadim.

— No, lei si sbaglia, — obiettò Saul. — In questi casi non ci si occupa del singolo individuo.

— Come sarebbe a dire, non del singolo individuo? Per chi ricostruiscono la città? A quei ragazzi la città non serve più…

Saul scosse la mano con aria seccata.

— Durante l’esplosione ne sono, probabilmente, morti a decine di migliaia di quei ragazzi. Peccato, certo, però non è il caso di occuparsi oltre di loro.

Vadim sussultò facendo sbandare il bioplano.

— Mi scusi, Saul, ma il suo comodo studio e la storia ha