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Corre per la linea mediana del viale, mezzo cancellata, dondolandosi, buttando leggermente da una parte le zampe posteriori, così come fa

Mi sembra che lui abbia già tratto delle conclusioni, sia per quanto riguarda la città sia, probabilmente, per quanto riguarda tutto il pianeta. Ha rifiutato con aria indifferente di visitare una villa splendidamente conservata, nel 7° rione, assolutamente fuori posto per pulizia ed eleganza, tra edifici coperti da rampicanti selvatici, corrosi dal tempo, ciechi. Ha fiutato soltanto, con disprezzo, la ruota, dal raggio di due metri, di una macchina militare blindata, che puzzava forte di benzina fresca, mezza sepolta dalle macerie di un muro crollato, e senza alcuna curiosità ha osservato la danza folle di un poveraccio di aborigeno che ci è balzato davanti con un tinti

— Ecco qualcosa di nuovo, — dico.

Era qualcosa che assomigliava alla cabina di una doccia ionica, un cilindro alto due metri, dal diametro di uno, di un materiale trasparente, simile all’ambra. La porta ovale, alta quanto il cilindro, era spalancata. Verosimilmente, una volta questa cabina era verticale, ma una carica di esplosivo posta sotto un fianco aveva fatto sì che si inclinasse fortemente, e che il fondo si sollevasse insieme all’asfalto su cui era attaccato e alla terra argillosa. Per il resto non aveva subìto da

— Un bicchiere, — dice Vanderchuze. — Ma con la porta.

— Una doccia ionica, — dico io. — Ma senza attrezzature. Oppure una cabina di regolazione. Ne ho vista una molto simile su Sarakš, solo che era fatta di ferro e vetro. Fra l’altro nel dialetto locale si chiamano proprio così: “bicchiere”.

— E che funzione ha

— Regolano il traffico stradale agli incroci, — rispondo.

— Da qui all’incrocio è un po’ lontano, non ti pare? — dice Vanderchuze — Allora si vede che è una doccia ionica.

Gli detta il rapporto. Ascoltato il rapporto, si informa:

— Ci sono domande?

— Due: perché ha





Ščekn si dimostra più che indifferente, si gratta, con il sedere girato verso la cabina.

— Il mio popolo non conosce oggetti simili, — mi informa con alterigia. — Al mio popolo non interessa. — E di nuovo continua a grattarsi con aria di sfida.

— È tutto, — dico a Vanderchuze, e Ščekn si alza e prosegue. Al suo popolo dunque non interessa, penso, camminando dietro di lui a sinistra. Mi viene da ridere, ma non si può ridere per nessuna ragione. Ščekn non sopporta nessun genere di sorrisi, la sua acutezza per quanto riguarda il minimo acce

— Ščekn, — gli dico, — vorresti vivere su Pandora?

— No. Devo stare con te.

Deve. Il guaio è che nella loro lingua c’è solo un tempo. Non c’è differenza fra “devo”, “dovrei”, “vorrei”, “potrei”. E quando Ščekn parla in una lingua non sua, utilizza questi concetti a casaccio. Non si può mai sapere che cosa abbia inteso veramente. Forse voleva dire che mi vuole bene, che starebbe male senza di me, che gli piace stare solo con me. Ma può anche essere che stare con me sia solo il suo compito, che gli sia stato ordinato di rimanere con me, e che voglia solo adempiere con onestà al suo dovere, anche se desidererebbe sopra ogni altra cosa infilarsi nella giungla color arancione, cogliendo ogni fruscio, beandosi di ogni profumo, tutte cose che su Pandora abbondano…

Davanti a noi, sulla destra, da un balcone color bianco sporco del terzo piano si stacca un pezzo di intonaco e cade con rumore sul marciapiede. I ratti squittiscono sdegnati. Una colo

E pensare che avevano paura di lasciarmi andare solo con Ščekn! Un combattente di prima classe, intelligente, con un incredibile senso del pericolo, assolutamente privo di paura, perlomeno non nell’accezione umana… Ma… ovviamente, c’è anche un “ma”. Se occorresse, mi batterei per Ščekn come per me stesso. Ma Ščekn? Non lo so. Certo, su Sarakš si sono battuti per me, ha

Intanto che parliamo, Ščekn si infila nel portone più vicino. Si sente un tramestio, uno squittio, scricchiolii e grufolare. Ščekn appare di nuovo sulla porta. Mastica energicamente e si toglie dal muso le code dei topi.

Tutte le volte che sono occupato con i collegamenti, lui comincia a comportarsi da cane: mangia, si gratta, si mette a darla caccia a qualcosa. Sa perfettamente che è una cosa che non mi piace, e lo fa apposta, come se volesse vendicarsi del fatto che sono distolto dalla nostra solitudine a due.